Dott.ssa Giulia Cerbini
L’ANSIA E L’ATTACCO DI PANICO
L’ansia è un’emozione che si attiva quando ci preoccupiamo per uno scenario futuro di cui sovrastimiamo il “pericolo” e sottostimiamo le nostre capacità di farvi fronte (Beck, 1985).
Quando entriamo in questo schema di pensieri il nostro corpo reagisce in modo automatico pensando di dover far fronte ad un pericolo ed attivare il cosiddetto sistema attacco - fuga:
il nostro corpo si prepara a fuggire o ad attaccare..
Quindi cominciamo ad esperire tutta una serie di attivazioni fisiologiche e corporee che risultano essere le vere e proprie manifestazioni dell’ansia:
· le pupille si dilatano
· la digestione rallenta
· percepiamo un senso di nausea
· il respiro diventa più veloce
· i muscoli si tendono
· aumenta la sudorazione e la temperatura ecc
Quindi l’emozione dell’ansia è utile quando non è eccessiva perché ci permette di far fronte a diverse situazioni: dal pericolo vero e proprio ad esempio una macchina che ci viene addosso mentre attraversiamo e tramite l’ansia il nostro corpo ci mette in moto per fuggire ma anche in attività che richiedono attenzione, impegno, concentrazione ecc tipo un esame. Infatti se prima di un’interrogazione o di un colloquio di lavoro ci sentissimo totalmente privi di ansia o rilassati non avremmo una performance ottimale, quindi ad un buon livello di attivazione ansiosa corrisponde una buona perfomance.
Quando però l'ansia è eccessiva ha delle ricadute negative sulle nostre performance.
QUANDO L’ANSIA DIVENTA ECCESSIVA?
L’ansia diventa patologica quando si attiva in assenza di un vero pericolo o sovrastimando la minaccia, di conseguenza tutta l’attivazione corporea descritta prima non ha modo di sfogarsi (come avverrebbe ad esempio dopo una lotta in cui percepiamo un calo dell’adrenalina) e quindi permane più a lungo mantenendoci in uno stato di disagio.
L’ansia diventa panico quando cominciando a percepire i sintomi dell’ansia che si sono attivati ad esempio in situazioni neutre (ad esempio entrando in un supermercato) iniziamo a spaventarci di queste sensazioni, il battito cardiaco accelerato tipico dell’ansia diventa segno di un infarto, il giramento di testa segno di uno svenimento, il respiro accelerato segno di soffocamento ecc. Dentro questa spirale di pensieri il corpo reagisce sentendosi ancor più in allarme e confermandoci così che c’è davvero qualcosa di cui avere paura e sperimentiamo la sensazione di panico.
Il panico ha una durata media di circa 20 - 25 minuti ma il suo picco dura pochi minuti, a seguito di questa esperienza poi si manifestano preoccupazioni che ci si possa risentire così e si attivano meccanismi di mantenimento del disturbo come gli evitamenti (evitare di riandare al supermercato ad esempio) che non ci permettono però di disconfermare la natura non “pericolosa” del panico e l’idea di noi stessi come in grado di farvi fronte.
Il panico si attiva quindi quando mal interpretiamo sensazioni corporee o mentali sovrastimando la loro pericolosità.
COME LAVORARE IN PSICOTERAPIA SU ANSIA E PANICO?
PSICOEDUCAZIONE SULL’ANSIA E SUL CICLO DEL PANICO (Clark, 1986)
​
Per aiutare il paziente a riconoscere le sue emozioni e a comprendere l’emozione dell’ansia e le sue manifestazioni fisiche. Aiutandolo a comprendere che l’ansia non è qualcosa da non voler percepire più in quanto è un emozione utile in molte situazioni e i cui sintomi, se attivati in situazioni neutre, sono disturbanti ma non pericolosi. Se lasciamo andare i pensieri che mantengono l’ansia eccessiva sperimenteremo che le emozioni non sono permanenti ma transitorie, possiamo immaginarle come delle onde che una volta raggiunto il picco da sole decadono e si fanno meno intense riuscendo quindi a tollerarle.
​
AUTOSSERVAZIONE
Osservare gli episodi in cui ci capita di sperimentare ansia e panico riconoscendo quali sono i pensieri, le interpretazioni o le immagini che attivano l’ansia, in quanto pensieri ed emozioni sono collegati. Riconoscere i pensieri catastrofici associati all'ansia. Dopo il primo attacco si attiva un circolo vizioso per cui sovrastimiamo la pericolosità delle sensazioni dell’ansia ed entriamo così nel ciclo del panico (“paura della paura”). Per non entrare in questo ciclo disfunzionale dobbiamo imparare non interpretare in modo catastrofico le sensazioni dell'ansia.
​
NON EVITARE
Evitando le situazioni che temiamo possano scatenarci ansia e panico questo può provocarci una temporanea diminuzione dell’emozione spiacevole ma accrescerà la paura nell’affrontare tali situazioni, soprattutto in casi in cui non possiamo evitare. Inoltre in tal modo manteniamo il disturbo non dandoci mai modo di disconfermare l’idea della pericolosità del panico e delle nostre capacità di farvi fronte. Affrontare gradualmente le situazioni temute ci permetterà di scoprire che l’ansia e il panico sono solo emozioni e che anche se spiacevoli passano, soprattutto se riesciuamo ad identificare i pensieri che attivano l’ansia e quindi a non entrare in quei cicli di pensieri catastrofici che generano e/o mantengono l’ansia, e renderci conto che abbiamo le capacità di far fronte a queste situazioni e sentirsi così in grado di riuscire a gestirle.
PENSIERI CATASTROFICI E SVALUTANTI
SONO INCAPACE…NON SONO AMABILE….ANDRA' TUTTO MALE…RIMARRO' SEMPRE SOLO
Quante volte vi è capitato di avere questi pensieri?
Magari prima di un esame o dopo un esame bocciato, o dopo una critica ricevuta sul proprio lavoro o la rottura di una relazione..
Come vi siete sentiti con in testa questi pensieri? Che emozioni vi hanno suscitato?
Delle volte tendiamo a fonderci con i pensieri catastrofici o svalutanti e questo ci porta a dare una valutazione globale negativa di noi stessi, provocandoci intense emozioni come ad esempio ansia, panico o tristezza profonda.
Tendiamo a considerare i nostri pensieri come se fossero la realtà.
Ad esempio: “Se non ho passato un esame allora vuol dire che sono un fallito” e ci fondiamo totalmente con questo pensiero vedendoci e sentendoci così, scordandoci di tutte le nostre qualità e caratteristiche che determinano il nostro valore, che non coincide con il risultato ad una prestazione.
Proviamo quindi a defonderci da essi e ad osservare la nostra mente pensante, proviamo ad immaginare i pensieri come frasi sulle nuvole nel cielo della nostra mente e a lasciarli scorrere, senza fonderci con essi o entrarci dentro.
Magari scopriremo che con una prospettiva più distaccata a quell’esame bocciato o a quella critica sul lavoro possiamo reagirci in modo diverso e nuovo.
IL RESPIRO
Il respiro è la nostra ancora per riconnetterci al momento presente.
Quando la nostra mente entra in modalità gatto nel futuro (compiamo salti come un gatto nel futuro rimuginando su possibili scenari ed esiti perdendoci in pensieri che spesso iniziano con “e se..”) oppure in modalità mucca (ruminando su eventi passati o su come avremmo potuto comportarci diversamente ecc) ci perdiamo in due tempi che non ci appartengono (passato e futuro) e che non sono sotto il nostro controllo.
Perdendoci così il momento presente che è l’unico nostro tempo e su cui abbiamo il potere di decidere come viverlo.
Quando ci accorgiamo che la nostra mente divaga e si perde nel rimuginio o nella ruminazione possiamo decidere di dirigere la nostra attenzione al respiro e alle sensazioni fisiche che questo ci comporta, immergendoci nelle sensazioni dell’inspirazione e dell’espirazione e riconnettendoci così al momento presente.
IL RIMUGINIO
​
Il rimuginio è una forma di preoccupazione ripetitiva e negativa verbale che spesso inizia con frasi del tipo: “e se..”?. A tutti capita di rimuginare su un evento futuro che ci preoccupa, i campanelli di allarme per un rimuginio disfunzionale si devono riconoscere alla presenza di due condizioni:
​
· la pervasività, ovvero quando un pensiero occupa molto tempo all’interno della giornata interferendo negativamente con il nostro funzionamento sociale, lavorativo
· l’incontrollabilità, quando percepiamo il rimuginio come ingestibile
​
​
​
COME GESTIRE IL RIMUGINIO PATOLOGICO?
​
Proviamo un esercizio:
Se vi dico di non pensare ad un elefante viola che succede dentro la vostra testa?
A molti di voi sarà capitato di pensate subito all’elefante viola! Cercare di sopprimere un pensiero ha come effetto paradossale di aumentarne la sua presenza nella nostra mente.
Proviamo un altro esercizio:
Ripesca dalla tua memoria l’immagine dell’elefante viola e osservalo bene.
Dopo un minuto sposta la tua attenzione ai rumori che percepisci nella stanza, chiudi gli occhi se vuoi e vedi cosa succede.
A molti di voi sarà capitato nel secondo punto dell’esercizio di avere nuovamente in testa l’immagine dell’elefante viola, cosa avete fatto per riorientare l’attenzione sui rumori della stanza?
La mindfulness ci può aiutare a gestire la sensazione dell’incontrollabilità del rimuginio, ci insegna a portare l’attenzione dove desideriamo e a ritrovare uno stato di calma.
​
Una strategia per riuscire a gestire il rimuginio passa attraverso la consapevolezza che non abbiamo il controllo sui nostri pensieri ma possiamo scegliere se seguirli e fonderci con essi o riorientare altrove la nostra attenzione.
Imparando a vedere i pensieri per quello che sono, sono solo pensieri e non sempre corrispondo alla realtà, posso quindi decidere di lasciarli andare riancorandomi al momento presente tramite il respiro e focalizzando la mia attenzione alle sensazioni fisiche che il respiro dona al mio corpo.
Un’altra strategia utile per limitare la pervasività del rimuginio è invece il Worry Time.
Per cercare di limitare il quantitativo di tempo che passiamo a rimuginare durante la giornata possiamo scegliere un tempo limitato al giorno in cui concederci di rimuginare, il cosiddetto worry time.
Il worry time dovrebbe avere una durata massima di 15 minuti al giorno, avvenire in luoghi non associati al riposo e possiamo renderlo più efficace scrivendo in un foglio le nostre preoccupazioni.
I 5 minuti finali del worry time possiamo dedicarli a selezionare quali di queste preoccupazioni sono sotto il nostro controllo e quali no, decidendo quindi di lasciar andare quelle al di fuori del nostro controllo e invece applicando abilità di problem solving su quelle risolvibili.
Ad esempio la preoccupazione riguardo al fatto che sicuramente l’esame andrà male è qualcosa che non possiamo controllare o sapere esattamente cosa succederà il giorno dell’esame, inoltre probabilmente permanere in questo pensiero aumenterà la nostra ansia, possiamo quindi decidere di lasciarlo andare.
Mentre la preoccupazione sull’essere indietro sullo studio del programma di esame è qualcosa che possiamo controllare cercando di organizzare una pianificazione dello studio e della nostra settimana.
Finito il worry time lasciamo lì tutti i pensieri al di fuori del nostro controllo e se durante la giornata il pensiero ritorna lo posponiamo al prossimo worry time del giorno dopo, magari segnandolo sul foglietto di prima e decidendo di rimuginarci sopra il giorno successivo.
Ci può aiutare a rimandare i pensieri al prossimo worry time anche l’esercizio di mindfulness sulla respirazione descritto sopra.
Inoltre il worry time aiuta anche nel percepire di avere controllo sul rimuginio, non possiamo controllare l’arrivo del pensiero ma possiamo scegliere se rimuginarci sopra o meno, rimandando il rimuginio o lasciando scorrere i pensieri e dirigendo l’attenzione su altro.
Il respiro è la nostra ancora per riconnetterci al momento presente.Perdendoci così il momento presente che è l’unico nostro tempo e su cui abbiamo il potere di decidere come viverlo.
Quando ci accorgiamo che la nostra mente divaga e si perde nel rimuginio o nella ruminazione possiamo decidere di dirigere la nostra attenzione al respiro e alle sensazioni fisiche che questo ci comporta, immergendoci nelle sensazioni dell’inspirazione e dell’espirazione e riconnettendoci così al momento presente.
